Mosaico

Contenuto e struttura dell'opera

Il trattato, come suggerito dal titolo, è composto prevalentemente da quaestiones. Non mancano brani questionanti d’incerta origine (talvolta identificabili come frammenti di lecturae) alcuni dei quali, tra loro collegati, sembrano a loro volta costituire piccoli trattati, o summulae, presi a rappresentare le tematiche specifiche evocate da un titolo. L’esempio più evidente è dato dal trattato De pugna di Roffredo (C.O.40, foll. 72va-73va), tradito in una redazione più ampia rispetto alla ben nota edizione curata dal Patetta negli “Scripta anedocta Glossatorum” 21.
L’epoca di composizione non sembra superare cronologicamente il periodo vercellese di Giuliano da Sesso. Molti elementi interni traibili dalle quaestiones offrono solidi indizi per individuare entro il 1235 il dies ad quem della compilazione: la citazione di decretali gregoriane indicate come novae dall’autore, il frequente rinvio ai Libelli de iure civili di Roffredo (ultimati entro il 1235) e non dei successivi Libelli de iure canonico, etc. 22.
Gli autori cui i testi selezionati sono attribuiti e quelli utilizzati come fonte fanno parte di quel gruppo di giuristi che impartiscono il loro insegnamento in centri minori di studio siti in Emilia, nella Lombardia padana, nel Piemonte, quali Reggio, Modena, Parma, Padova, Vercelli, appunto: Alberto da Pavia, maestro di Omobono, come pure Uberto da Bobbio (nel trattato sono presenti 5 qq. siglate “U.” o “Uber.” e 8 reportatae), lo stesso Omobono (sono sue ben 52 qq. e 9 reportatae), Lanfranco da Crema, citato da Omobono.
Ad integrare il contenuto di numerosi titoli, si rinvengono pure molti rinvii ai Brocardi, uno scritto che, diviso in quaderni e capitoli, era evidentemente nella disponibilità del compilatore: il suo autore non è mai citato, ma potrebbe ravvisarsi in Ottone da Pavia o nello stesso Pillio. Uno dei brani sembra corroborare l’ipotesi pilliana in quanto alla consueta citazione dei Brocardi è accostato un richiamo alla Summa sui feudi (fol. 37va).
Un ruolo a parte riveste Roffredo, la cui raccolta di questiones, assieme a quella di Pillio, costituisce una sorta di ossatura portante dell’opera: il giurista beneventano è tenuto in tale considerazione da Giuliano da essere indicato nell’explicit del trattato e in alcune aggiunte alle quaestiones come referente sicuro, specie nei suoi Libelli de iure civili, per qualunque approfondimento degli argomenti affrontati nell’opera.
Sono riprese nel Tractatus 122 delle quaestiones aureae di Pillio, a fronte delle 142 comprese nel testo ufficiale poi confluito nelle antiche edizioni. È invece sporadica la presenza del nome o almeno della sottoscrizione del giurista modenese: il compilatore aveva sicuramente a disposizione una collettanea simile a quelle circolanti negli ambienti di studio dell’epoca e che ci sono stati tramandate da numerosi codici, quali Roma, Archivio di Stato 1004 (studiato da Rota e poi da Caprioli), Vaticano Borghesiano 135, e 163, Vaticano Latino 7778 (utilizzati a suo tempo da Nicolini e in parte studiati dalla Belloni con ausili informatici): la peculiarità di tali testimoni delle quaestiones pilliane, di intercalarvi alcune questioni di Azzone, si ritrova anche nel trattato, ove se ne conservano tre, sia pur prive di attribuzione di paternità.
Le quaestiones di Roffredo, anch’esse non siglate, sono presenti in larga misura: 46 rispetto alle 54 presenti nelle edizioni conosciute. La redazione assume particolari connotazioni rispetto alla tradizione testuale ufficiale e sembra tramandare una versione assai risalente: se i temi sono riprodotti con sostanziale fedeltà e in qualche misura appaiono più corretti rispetto alle raccolte manoscritte più diffuse, gli sviluppi dei pro e dei contra di ciascuna questione sono riferiti molto sinteticamente; in alcuni casi mutano gli incipit. La divergenza di maggiore rilievo è data dalle citazioni canonistiche, di cui Roffredo fa largo uso: nel testo tradito dal Tractatus esse sono riprese dalle antiche compilazioni e non dal Liber Extra, mentre nei testi dati successivamente alle stampe i rinvii alle decretali gregoriane sono pressocché onnipresenti.
La struttura del Tractatus quaestionum in dodici libri articolati in titoli prende come modello la sistematica e le scelte contenutistiche del codice giustinianeo, integrate, per le materie ‘nuove’ aderenti alle realtà del tempo, da titoli tendenzialmente uniformati ad esempi tematici forniti dalla legislazione canonica. Il proemio in rime (fol. 3va) che anticipa il vero e proprio incipit dell’opera definisce in pochi versi l’articolazione complessiva:
Prima sacrat, secunda parat ius tertia dicit.
Contrahit et quarta, nubere quinta docet.
Testatur sexta, libertos septima gingnit.
Pignorat octava, crimina nona punit.
Fert fiscum decima, sed fert undecima collonos.
Ultima que sequitur officiumque docet.
Le rime sono state studiate e devono essere lette in chiave programmatica poiché, almeno nella redazione pervenuta dell’opera, gli ultimi libri non corrispondono pienamente, nella ripartizione dei titoli, a quanto preannunciato dall’autore nelle pagine iniziali.
I primi quattro libri seguono l’ordine del Codice giustinianeo con riguardo alle materie del patrimonio ecclesiastico e del processo. I casi nuovi della vita di relazione danno materia ad alcuni titoli ispirati, sia nel tenore letterale che nella loro progressione, dalla normativa confluita nelle Quinque Compilationes Antiquae e nel Liber Extra: ad esempio: De officio advocati, De maioritate et obedientia, De treugua et pace, De syndico, De restitutione spoliatorum, De feudis. Il quinto e il sesto libro trattano della famiglia e delle successioni. Il settimo recupera la progressione sistematica del Codice per gli argomenti sulla proprietà e il possesso; così per l’ottavo libro, dedicato alla materia dei pegni e delle fideiussioni, e per il nono sui crimini e le cause criminali.
Gli ultimi tre libri presentano una distribuzione delle materie meno coerente: del Codice si recuperano soltanto alcuni temi riguardanti le giurisdizioni cittadine e fattispecie criminalistiche. Nelle sezioni finali si notano un’impostazione ancor più disordinata e alcuni ripensamenti rispetto all’indice che precede il piccolo proemio in rime. Segno evidente, per queste parti del Tractatus, di un malfatto e tardivo rimaneggiamento (di cui potrebbe essere testimonianza il titolo De variis et extraordinariis questionum articulis, che aggiunge poche altre quaestiones inerenti a materie già affrontate); se non pure del mancato completamento dell’opera. Forse una contingenza determinata dalla brusca interruzione dell’insegnamento vercellese di Giuliano; o forse dalle drammatiche fasi attraversate in quegli anni dalla società comunale durante il conflitto tra guelfi e ghibellini, in cui Giuliano si era reso pienamente protagonista trasformandosi da legum professor in spietato giustiziere e consulente legale di parte ghibellina.

Note

21 Vol. II, Bononiae 1892, rist. Torino 1962, pp. 77-83. La lezione di questa summula fornita dal codice olomucense richiama pittosto, specie nei brani finali, i manoscritti Ausburg, Staats und Stadtbibliothek, 2.406 e Halle, Universitäts und Landesbibliothek, Ye, fol. 14.
22 Per un’analisi più approfondita, cfr. Sorrenti, Tra scuole, pp. 78 ss.

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