Mosaico

Caratteri Significativi

Il manoscritto fu quasi sicuramente scritto ed impiegato a Bologna, in anni in cui la Magna Glossa non si era ancora affermata completamente (sicuramente era ancora in uso nel 1252, come si desume dall'annotazione dei dati sulla punctatio librorum, metodo di insegnamento adottato a Bologna non prima di quella data).
Fu probabilmente impiegato in scuole non accursiane, di impronta odofrediana, fortemente connesse alla figura di Ugolino e del suo allievo Iacopo Baldovini e caratterizzate da stretti legami con Napoli ed il Regnum federiciano. Questa doppia tensione è manifesta nella selezioni delle glosse, alcune delle quali facenti esplicito riferimento a Bologna (Azzone, un giovane Accursio – ancora impegnato a studiare Ugolino – e lo stesso Odofredo), altre derivate da giuristi meridionali (Benedetto d'Isernia, Francesco da Telese) o comunque passati per Napoli (Martino da Fano, Guido da Suzzara, Francesco d'Accursio).
Ma la presenze più rilevanti sono quelle di Ugolino, di cui viene riportato l'apparatus, integrato dalla lezione di Iacopo Baldovini, e quella di Roffredo Beneventano, che però non è sempre così facilmente determinabile. Ciò è dovuto alla particolarità con cui la maggior parte delle glosse attribuite a Roffredo sono siglate: tramite una specie di triangolo formato da tre punti, un sistema comunque non totalmente insolito. Quasi tutte queste glosse sono state scritte dalla stessa mano, la seconda ad essersi impegnata nella trascrizione della lezione ugoliniana.
Si tratta, in totale, di circa 580 glosse, solo 6 delle quali non sono siglate coi tre punti. In un secondo momento, una ulteriore mano ha poi aggiunto la sigla "ro." alle glosse di questo tipo riportate ai fogli 1ra-41va, segno del riconoscimento di Roffredo come autore dell'annotazione (in questi casi, non è possibile sciogliere "ro." in Rogerio).
L'anonimo scrittore delle glosse in alcuni, rari casi (circa 20 sui 580 totali) rielaborò leggermente la lezione, facendo esplicitamente riferimento al suo dominus Roffredus: per esempio, la gl. consobrini ad C.9.14, qui accusare non possunt. l. uxor tua (fol. 225rb). Ciò giustifica dunque già una parziale identificazione.
L'intento dell'allievo, comunque, fu semplicemente quello di raccogliere ed accorpare in un unico testo numerose glosse del maestro beneventano, scritte di suo pugno o dettate che fossero, e ascrivibili a svariati anni di lecturae sul Codex: ne è derivato quindi un vasto apparatus recollectus, la cui eterogenea origine è indicata anche da alcune glosse geminate sparse lungo il testo. L'allievo attinse a diverse fonti ed operò nel rispetto e nella conoscenza dell'operato di Roffredo: cosa che risulta dalle citazioni di rinvio inserite in alcune delle glosse.
Nel tentativo di distinguere l'originalità del dettato diretto di Roffredo, il quale attingeva comunque spesso, com'era tradizione, ai suoi grandi predecessori, è possibile stabilire che circa 520 delle glosse riportate sul manoscritto pragense sono del Beneventano: una parte di esse incorpora direttamente il suo pensiero, un'altra parte rielabora, anche solo formalmente, l'opinione di altri.
Una serie di elementi, infine, permette di accertare, con un certo margine di sicurezza, la paternità effettiva di queste 520 glosse, escludendo un'interpolazione od una rielaborazione del copista.
A parte l'autorevolezza nel tono, manifesta in diverse glosse, che non può però circoscrivere l'identificazione ad uno specifico maestro, sparse tra le annotazione troviamo: riferimenti alla vita di Roffredo, con richiami ad una formazione sotto Azzone e Piacentino [cfr. gl. (cumque multe) ad C.3.31.12.1, de petitione hereditatis. l. cum hereditatis. § cumque multe (fol. 61rb)]; rimandi ad opere del giurista beneventano stesso [ad esempio, il Libellus Iudiciorum in gl. unde ad C.6.33.3.2, de edicto divi Hadriani. l. edicto. § nullis (fol. 154vb-a)]; esempi arbitrari legati ai luoghi in cui Roffredo è vissuto. Su quest'ultimo aspetto, le glosse parlano di leggi e consuetudini napoletane, bolognesi, lombarde e romane. Per quanto riguarda Bologna, la città felsinea viene vista in quella che appare un'ottica lontana, quasi di ricordo: si tratta di un possibile elemento di datazione. Vale la pena elaborare meglio. Innanzitutto, bisogna ricordare che, trattandosi di un apparatus recollectus, le singole glosse appartengono ad un momento antecedente a quello della scrittura dell'intero corpus. Scendendo nello specifico, le annotazioni appaiono risalire a due momenti successivi, come esplicitano gli argomenti presi in considerazione nelle varie glosse. Il primo periodo coincide con la fondazione dello Studio napoletano, sotto la protezione di Federico II. La glosse di questa fase parlano di diritto feudale [gl. (habeant) ad C. 1.3.17, de episcopis et clericis. l. placet (fol. 8va)], di legislazione normanna, dei poteri imperiali e del rapporto tra papa ed imperatore; traspare un allontanamento dal nord, criticato anche nella legislazione. Sono gli anni immediatamenti successivi al 1220.
Il secondo periodo si identifica con la permanenza a Roma, il cambiamento di impostazione in funziona filo-papale ed anti-imperiale. Il giurista mostra precisa e non banale conoscenza del diritto canonico, citato esplicitamente con un fare lontano dagli usi tradizionali dei civilisti. E' possibile, in questo caso, parlare di un arco cronologico avente come estremi il 1299 ed il 1233.
Se è accertata la presenza di Roffredo a Roma nella veste di avvocato, proprio a partire da queste glosse, associate ad altre testimonianze [cfr. G. Ferretti, Roffredo Epifanio da Benevento, in «Studi Medievali» 3 (1908-1911), p. 282], è possibile dare sostegno ad una tesi che vuole il Beneventano anche maestro in una scuola, strettamente legata all'ambito giudiziario ed alla pratica: le glosse dell'intero apparatus recollectus sono infatti caratterizzate da un'impostazione fortemente rivolta all'impiego del diritto nelle aule dei tribunali.
Sotto tale profilo è leggibile la ricomposizione dell'apparato eseguita dall'ignoto allievo, che ebbe forse modo di frequentare le lezioni di questa scuola per avvocati e causidici, essa stessa non uno Studium di alto profilo, ma un ambiente più ridotto e quasi "privato". Proprio in un'ottica della pratica, acquisiscono maggior senso alcune motivi ricorrenti nelle varie glosse, così riassumibili: l'impostazione della teoria in funzione processualistica; l'efficace sintesi analitica del dettato e della interpretazione normativi; il tono a volte leggero e scherzosamente critico talvolta impiegato.

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